La ricchezza globale (il PIL mondiale) prodotta nel 2023 si aggira intorno a $ 105.000 MD (circa il 40% arriva dal contributo di Usa e Cina, rispettivamente a $ 24.000 MD e circa $ 18.000 MD). Numeri che, al di là dei distinguo tra un Paese e l’altro o tra un’area geografica e un’altra, ci dicono che il mondo è ben lontano dall’ipotesi di una recessione e, quindi, di un atterraggio “duro” dell’economia.
Il “valore” delle aziende (la capitalizzazione di borsa), invece, ad oggi ammonta a circa $ 118.000, una cifra ben superiore, quindi, alla ricchezza complessiva. Di questi, ben $ 20.000 MD si sono aggiunti solo negli ultimi 5 mesi grazie al “rally” dei mercati azionari, che ha portato molti listini a toccare nuovi massimi, con performance a dir poco strabilianti (Tokyo + 32%, MIB Milano + 25,8%, New York S&P 500 + 27%, Nasdaq + 29,7%, Francoforte + 24%, Madrid + 22,7%, Parigi + 20%, con Shanghai unica piazza a non partecipare al “banchetto”, con una performance negativa del 5,17%). Il valore societario vale, pertanto, circa il 112% della ricchezza prodotta (l’Italia, in questo senso, nonostante il poderoso recupero messo in atto, rappresenta un’anomalia, essendo la capitalizzazione del ns indice pari a circa € 800 MD contro un PIL di circa € 2.000 MD: siamo ad un modesto 40% contro il 112% di cui sopra, percentuali che ci possono far capire come il listino italiano possa costituire una importante opportunità d’investimento, come peraltro ci dice anche il fatto che sia ancora lontano di circa il 30% dal suo massimo storico).
Secondo uno dei più grandi investitori al mondo (Warren Buffet), o meglio il Warren Buffet indicator, quando il rapporto tra capitalizzazione di borsa e PIL supera il 100% (oggi siamo, come detto, al 112%), dovrebbe farsi largo la prudenza. Peraltro, ogni cosa e ogni affermazione vanno contestualizzate.
Per esempio, ad oggi lo S&P 500, l’indice forse più importante al mondo, “quota” 21 volte gli utili attesi per l’anno in corso: oltre, quindi, la media degli ultimi 10 anni, pari a 18,5 volte. Un numero superiore, ma non così superiore da farsi pensare ad una bolla.
Ma non è l’unica considerazione da fare. Se prendiamo le ormai ultra-note magnifiche 7, potremo notare che questo rapporto vale ben 29 volte. Se, invece, le “depuriamo” dall’indice (facendo diventare una sorta di “S&P 493”) scopriamo che i valori sono addirittura inferiori alla media degli ultimi 10 anni: se analizziamo l’indice S&P 400 (media capitalizzazione) scendiamo a 15,7, se passiamo allo $&P 600 (piccola capitalizzazione) scendiamo ulteriormente a 14,3 volte. Mentre i listini europei viaggiano su livelli ben lontani da qualsiasi ipotesi di bolla (14 volte). Numeri che implicano un aspetto fondamentale, vale a dire la crescita degli utili. Per Wall Street le previsioni sono per un aumento pari all’11%, percentuale risultanza di 2 fattori: il primo, il più importante, sta a significare che ricavi aziendali (ovvero i margini) continueranno a crescere, ennesima conferma che la recessione, oggi, è “fuori dai radar”. E poi per il contributo derivante dall’inflazione (i “conti” si fanno sui prezzi “nominali” e non quelli “reali”, depurati, appunto, dall’aumento dei prezzi). Quest’ultimo fattore assume un’importanza non secondaria, stando a significare che le aziende possono continuare a vendere i loro prodotti e i loro servizi a prezzi maggiori: quindi i mercati, nelle loro stime, “incorporano” un aumento dei prezzi nel medio-lungo periodo. E l’aumento dei prezzi è in antitesi alla recessione: quest’ultima, infatti, si manifesta quando la domanda (di beni e servizi) inizia a diminuire in quanto non più sostenuta dai redditi (o dai risparmi).
Dall’inizio dell’anno alla “festa” dei mercati, però, è mancato (almeno in parte) il mercato obbligazionario. Infatti, il suo valore complessivo è passato da $ 65.300 MD a $ 64.700 MD (ricordiamo che l’aumento dei prezzi significa un calo dei rendimenti, e viceversa). Una variazione indubbiamente minima ma che ci dice che, non tanto nel breve, quanto nel medio-lungo periodo, l’economia qualche “battuta a vuoto” potrebbe averla, legata a fattori quali un’inflazione che “non molla” la presa o una situazione geopolitica che potrebbe evolvere in maniera non propriamente positiva.
Inizio settimana poco brillante per gli indici del Pacifico.
Il più pesante è il Nikkei di Tokyo, che “lima” del 1,16%, penalizzato anche dall’apprezzamento dello yen.
Non bene anche Shanghai, in calo dello 0,71%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng se la cava con un modesto – 0,23%.
Futures appena negativi, in discesa dello 0,15-0,20%.
Petrolio stabile, con il WTI a $ 81 (+ 0,42% l’apertura di questa mattina).
Gas naturale Usa a $ 1,816.
Oro sempre vicino al record, a $ 2.168,4 (+ 0,30%).
Spread di nuovo sopra quota 130 bp (131,2), probabilmente a causa delle “fibrillazioni” politiche di questi giorni, con un BTP al 3,63%.
il rendimento è rimasto più o meno stabile in quanto il bund, nel frattempo, è passato da 240 bp a 232 bp.
Treasury Usa al 4,23%.
Ancora in rafforzamento il $, con l’€/$ che si è portato a 1,0819.
Ha ripreso la sua corsa il bitcoin, di nuovo sopra i $ 67.000 (67.275).
Ps: si chiama Maurizio Manfredi. E’ di Cuneo. Ha 93 anni. La sua passione è, da sempre, lo sci, o meglio, lo sci-alpinismo. Attività che continua a svolgere anche oggi. Magari con prestazioni non pari a quelle di una volta. Ma che testimonia come le passioni possano essere di grande aiuto. E che il “fuori tempo massimo” oggi, forse, non esiste più.